David Fincher, il maestro del perfezionismo

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david-fincherDavid Andrew Leo Fincher nasce a Denver, il 28 agosto 1962. Dopo essersi diplomato con ottimi voti alla Ashland High School, in Oregon, viene assunto a soli 18 anni da John Korty nella sua Korty Films, a Mill Valley. Il giovane secchione approda poi alla Industrial Light & Magic di George Lucas, dove lavora come assistente agli effetti visivi di film come Il ritorno dello Jedi (1983), La storia infinita (1984) e Indiana Jones e il tempio maledetto (1984).

Lascia l’ILM nel 1984 e incomincia a dirigere i primi spot televisivi di brand popolarissimi e videoclip musicali di artisti del calibro di Madonna, Sting, Rolling Stones, Michael Jackson, Aerosmith, George Michael, Iggy Pop e Billy Idol. Fonda la Propaganda Films ed esordisce alla regia di un lungometraggio all’età di 30 anni.

Alien³ (1992)ripley-alien-3

Il primo lungometraggio di David Fincher, ormai riconosciuto come uno dei più influenti registi cinematografici, certamente non ha mai riscosso un grande successo di critica e pubblico. Il film di Fincher è stato il più difficile da incasellare nella saga, in parte perché era un intruglio corroso da molti cuochi. Questo terzo capitolo è una parabola quasi religiosa, con la Ripley caduta dal cielo in tandem con uno Xenomorfo clandestino. La regia di Fincher offre passaggi molto inquietanti, di una bellezza da incubo, e più di un paio di tocchi quasi sperimentali, tra cui le lunghe dissolvenze che sembrano unificare i vari personaggi in una sorta di mente-alveare. Fincher (nonostante la mancanza di budget) ha cercato di rendere al meglio il genere e soprattutto concentrandosi non solo sui mostruosi Alien, ma narrando anche dell’apocalisse vissuta dall’uomo.

Se7en (1995)sevblu_shot18l

In generale, questo film, come Manhunter di Michael Mann, a mala pena riesce a sopravvivere su territorio nazionale e deve raccogliere consensi per di più all’estero. Forse è la combinazione Brad Pitt/Morgan Freeman nel ruolo dei due detective – un giovane sbruffone che pensa di sapere già le risposte, l’altro un veterano prossimo al pensionamento – a non convincere. In più c’è l’assassino, il quale fornisce lezioni di Divina Commedia e basa gli omicidi sui sette peccati capitali. Cinema europeo ma col pathos e la mascolinità tipica degli americani. Il film è estremamente violento, infatti Fincher ci mostra la morte in tutte le sue orribili forme. Seven contiene però sia stile che contenuto, e insieme a I Soliti Sospetti di Singer verrà ricordato come il miglior thriller degli anni ’90.

The Game – Nessuna regola (The Game, 1997)

Probabilmente il meno produttivo nel suo catalogo. Riposto spesso nella parte posteriore della mente dei cinefili di tutto il mondo, in qualche modo, sembra come inserito tra due sforzi registici monumentali nel pantheon dei film cult, Seven e il successivo Fight Club, ma molti fan del regista tendono, notoriamente, a salvare quello che ad una prima visione si presenta come un thriller di serie B, o per essere più buoni, il classico cinema entertainment. In ogni caso, dopo Seven, David Fincher si riconferma un esteta del dettaglio, particolare dote di grande beneficio per i numerosi colpi di scena della sceneggiatura.

Fight Club (1999)fightclub2

Fight Club è probabilmente il film definitivo della generazione X, Y (o qualunque generazione di persone di età inferiore ai 35 anni). Scioccante, inquietante, forse perfino pericoloso. Ma non esiste, ad ora, un film che esplora i mali e le carenze della nostra società in maniera così intelligente e dinamica. Fincher mette in evidenza i pericoli che scaturiscono nel seguire ciecamente una figura (Tyler?!) per quanto carismatica possa essere. Coloro che vedono il film come puro intrattenimento, probabilmente non sentono la necessità di analizzare i temi che attraversano Fight Club, e, quindi, potrebbero beccarsi una lezione di vita proprio dal nostro Tyler Durden. Fight Club è una critica agli ideali di mascolinità, al consumismo, alla pubblicità, alla televisione, alla vita, alla morte, al sesso, all’amore, che rende giustizia all’omonimo capolavoro letterario di Chuck Palahniuk. Nient’altro da aggiungere, d’altronde, abbiamo già violato le prime due regole del club.

Panic Room (2002)

Due donne – una claustrofobica, l’altra diabetica – chiuse nella stanza anti-panico della propria casa invasa da due rapinatori, un gioco brutale del gatto col topo e una pericolosa corsa contro il tempo. Qualcuno lo ha definito ”il Mamma ho perso l’aereo dei thriller” e qualsiasi regista avrebbe potuto sentirsi limitato da un film in cui tutta l’azione si svolge in una sola casa, ma Fincher prende la sfida con abbagliante fascino visivo. La sua macchina da presa si aggira su per le scale, scivola attraverso i muri, e, in una sorprendente carrellata assistita dal computer, segue i cattivi dall’interno dell’edificio. Jodie Foster è sorprendentemente piena di risorse come un’eroina in carcere, mentre Forest Whitaker, nel ruolo del più simpatico dei cattivi, è stranamente convincente. L’unica pecca è il tagliare subito sull’azione – c’è poco tempo per conoscere i personaggi prima di essere immersi nel pericolo – ma rimane comunque una fetta enorme di suspense hitchcockiana.

Zodiac (2007)Zodiac Short Takes

Fincher, regista noto per mettere i suoi attori sotto pressione, girando anche oltre 100 ciak a scena per ottenere le sfumature che vuole, prende i mostri stravaganti di Seven, e le radici di inganno in The Game, per scavare nell’animo criminale e cercare la verità psicologica in Zodiac. Qui, però, il sadismo di Fincher visto in Seven e Fight Club è smorzato (dopo tutto, mostra rispetto per le vittime). Piazza, in alcuni punti, dei veri tocchi da maestro: sulla scena del primo omicidio si aiuta con più di una visuale, luci, ombre e montaggio frenetico. Quello che è impressionante di questo film è il modo meticoloso in cui una quantità incredibile di dettagli è così coesa nella realizzazione del prodotto finale. Qualità incredibilmente alta anche dalla squadra di attori: Jake Gyllenhaal, Ruffalo, Downey Jr., Edwards, Sevigny, Cox, Baker Hall.

Il curioso caso di Benjamin Button (The Curious Case of Benjamin Button, 2008)

Nominato a 13 Oscar, è un dramma ricco di ironia, sia divertente che amaro, circa l’inevitabilità e l’umiliazione dell’invecchiamento, così come l’abisso che esiste tra quanti anni ci sentiamo di avere e quanti ne abbiamo effettivamente. Dal punto di vista tecnico il film è impeccabile. Dagli effetti visivi alla bellissima fotografia del collaboratore di lunga data di Fincher, Claudio Miranda. Ma si distanzia di molto dal resto della sua filmografia. Lo spettatore rimane incantato solo per il gioco del tempo che passa, che avanza ma sembra regredire. Siamo più in balia di Brad Pitt che del maestro Fincher.

The Social Network (2010)the_social_network_12

Scritto da Aaron Sorkin, e basato sul libro di Ben Mezrich “The Accidental Billionaires” è la ricerca dello sceneggiatore che scava nel caso come un detective, dato che nessuno è mai stato in grado di parlare con Zuckerberg per ottenere il suo punto di vista. Quindi è come un costrutto immaginario – sulla base di ampie fonti pubbliche. Certo, Sorkin, Fincher e i produttori hanno creato una pellicola penetrante e intelligente che soddisfi ogni genere di spettatore. L’azione legale è l’argomento del film, ma la vincita è il suo eroe. Oppure antieroe o cattivo o qualsiasi altra cosa sia Zuckerberg. Fincher pone gli eventi in ambienti veri, quasi storici. Il suo ritratto della vita del campus tra l’elite americana è perfetto, così come le stanze di guerra di avvocati aziendali, il tutto permette ancora una volta di porre sullo schermo una fotografia esemplare.

Millennium – Uomini che odiano le donne (The Girl with the Dragon Tattoo, 2011)

La tentazione di attuare la storia alla scura California di Raymond Chandler e Ross Macdonald deve essere stata notevole, soprattutto per Fincher, uno dei registi più dotati nel gestire trasposizioni e, soprattutto, serial-killer. Scott Rudin, Steven Zaillian e Fincher riconoscono però che la forza del film deriva dall’impostazione scandinava. Una certa tradizione di libri, giochi e film che si occupano di corruzione, imperi economici dominati da potenti famiglie che si estendono da Amleto attraverso i giochi di Ibsen e gli scandali finanziari del magnate svedese anteguerra Ivar Krueger fino a film danesi recenti come Festen e Melancholia.

L’amore bugiardo – Gone Girl (Gone Girl, 2014)gone-girl-01_1485x612

David Fincher ci ha abituati a cinema di altissimo livello e di raffinata fattura, pur affrontando la materia cinematografica in maniera sempre diversa, ma lasciando un po’ alla volta il suo segno indelebile di regista di classe. Cosa succede però, quando David Fincher riprende in mano tutti gli elementi dei film precedenti e li mescola insieme? Ne viene fuori un film come Gone Girl.
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Pubblicato da Michele Giacci

Michele Giacci nasce a Napoli il 31 maggio 1987, l'anno di Full Metal Jacket, Il cielo sopra Berlino, Gli Intoccabili, Wall Street e del primo scudetto del Napoli di Maradona. Cresce coi western alla tv e coi film di Spielberg al cinema, insieme ai romanzi di formazione del ventesimo secolo e all'amore incondizionato verso l'isola d'Irlanda.