Jupiter – Il destino dell’universo e il declino irreversibile dei Wachowski

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Jupiter Ascending Genere: Fantascienza, Azione Regia: Lana Wachowski, Andy Wachowski Cast: Channing Tatum, Mila Kunis, Sean Bean, Eddie Redmayne, Douglas Booth, Tuppence Middleton Durata: 123 min. Anno: 2014

Non conta ciò che fate, ma ciò che siete.” – Stringer (Sean Bean)

h. 04.45.

Ogni giorno, a casa della giovane Jupiter Jones (Mila Kunis), la sveglia suona a quest’ora e, immancabile, la ragazza recita il consueto mantra che segna l’inizio delle sue giornate, l’ottimistico “Io odio la mia vita.”.

Orfana di padre, Jupiter vive con la famiglia materna e si guadagna da vivere aiutando la madre e la zia a lustrare specchi e a riassettare letti di case borghesi.

La sua esistenza, tuttavia, è destinata ad un repentino cambiamento quando, grazie all’incontro con Caine (Channing Tatum), un mercenario mezzo uomo e mezzo cane, ingaggiato da Titus (Douglas Booth), uno dei tre fratelli della potente dinastia degli Abrasax, per rintracciarla, la giovane scopre di detenere un particolare profilo genetico che la rende la prossima beneficiaria, in linea di successione, di una straordinaria eredità in grado di mutare il destino dell’intero cosmo.

Di tempo, da quando Matrix (1999) ha reso evidente come la realtà null’altro sia che la verità filtrata da un linguaggio di comodo e debitamente fuorviante, ne è passato parecchio, ma la dedizione con cui i fratelli Wachowski ne celebrano l’arcano nonché inestimabile valore è rimasta intoccata.

In questa pellicola, il tempo si configura come bene primario, talmente prezioso da costituire l’oggetto di valore assoluto dei potenti che declinano le loro politiche sia squisitamente sociali che prettamente familiari con il solo fine di assicurarsene quanto più possibile.

Il tempo non è un bene democratico, ma oligarchico, di cui solo pochi possono travalicarne i limiti, come ben dimostrano i tre fratelli Abrasax, tiranni millenari che, dapprima, procedono alle semina dei mondi di cui sono padroni, per poi, una volta sviluppatesi forme di vita complesse, proseguire con la mietitura, ovvero la raccolta del DNA degli esseri viventi sterminati per produrre il siero della giovinezza, conditio sine qua non per estendere sempre più i limiti di tempo di cui si dispone.

Come già reso evidente in Matrix (1999), gli esseri umani detengono in questo quadro un ruolo inglorioso: fonte primaria da cui attingere, deboli e facilmente sfruttabili, la loro unica ragion d’essere è quella di replicare in loop i dettami del manifesto dell’era capitalista, il trittico “nasci – consuma – crepa”, con l’unico obiettivo di assicurare ai potenti che li governano ciò che bramano, l’immortalità.

La chiave ideologica di quest’ultima fatica cinematografica dei fratelli Wachowski giace tutta qui, tra una dichiarazione di fedeltà ai propri temi più cari e, al contempo, una ridondanza a livello di contenuti e significati in cui ristagna tutta la debolezza di questa pellicola.

Personaggi e mondi sono stati trafugati a piene mani rispettivamente da manuali base di teoria della narrazione e da una considerevole parte di cinematografia legata alla fantascienza anni ’80, perpetrando, nonostante il soggetto del film sia stato scritto ex novo dai due registi, rivelandosi privo, dunque, di paternità letterarie, quel senso di dejà vu in grado di annoiare e, insieme, azzerare l’avvento di qualsiasi svolta originale.

La computer grafica, oramai, sembra essere la vera protagonista del film: esplosioni, fughe, salvataggi in extremis riescono ad intrattenere fino ad un certo punto, ma non celano del tutto la carenza a livello di sceneggiatura di questa pellicola, anzi, a tratti, ne amplificano il vuoto.

La narrazione è raffazzonata, strutturata con faciloneria e declinata per giustificare l’imperiosa presenza dei virtuosismi grafici. I personaggi, della cui storia è dato sapere il minimo sindacale, non riescono a risultare interessanti, a partire dalla protagonista, Jupiter, che risente della costruzione dei personaggi femminili in voga negli ultimi anni, affiliandosi a quel modello Bella Swan in grado di decretare che si, puoi essere anonima, sfigata e sprovvista di qualsivoglia talento, ma la tua totale carenza del benché minimo merito non importa in quanto il tuo essere speciale è un dono genetico e verrà riconosciuto ed omaggiato non da comuni mortali, ma, a seconda dei casi, da vampiri milionari e/o da affascinanti guerrieri intergalattici.

In uno scenario di simile banalizzazione dei ruoli, anche gli antagonisti non solo risultano drasticamente deboli e poco appropriati,ma, a tratti si rivelano anche involontariamente comici, come ben dimostra il malvagio, si fa per dire, Balem Abrasax (Eddie Redmayne), la cui perfidia è misurata dall’alternarsi del timbro di voce: da una flemma timbrica pari a quella di un sacerdote ottuagenario intento a recitare i vespri serali ad un innalzamento vocale pari a quello di una qualsiasi Vanna Marchi atta a vendere la pentola di turno.

Costato svariati milioni di dollari, Jupiter – Il destino dell’universo dimostra come si possono mettere sul piatto diversi kg di denaro per la ricercatezza grafica, ma è sempre l’idea di fondo a fare la differenza.

Idee di cui la pellicola è sprovvista, essendosi infossata nel manierismo narrativo, tematico ed estetico di opere che l’hanno preceduta.

Più che un’ascesa, dunque, un inabissamento nel baratro del dimenticatoio.

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Pubblicato da Viviana de Lillo

Stanziata nella natale Torino dalla prima apparizione su tale piano di esistenza, registrata il 06 settembre 1986, trascorre 3/4 di vita seduta su una poltroncina rossa davanti ad un grande schermo immerso nel buio. Il restante quarto l'ha investito in fumetti, serie tv e cartacce semiotiche. Su queste ultime, a proposito, nutre ancora dei dubbi, ma questa è un'altra storia.