Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, l’Uomo in una galleria d’arte

Condividi:

En duva satt på en gren och funderade på tillvaron – Genere: Drammatico, Commedia – Regia: Roy Andersson – Cast: Holger Andersson, Nils Westblom, Charlotta Larsson, Jonas Gerolm, Ola Stensson – Durata: 101 min – Anno: 2014

La recensione di Nicolò Barison.

un-piccioneTerzo capitolo della trilogia sull’essere un essere umano, l’ultimo lavoro di Roy Andersson, vincitore dell’ultimo Leone D’Oro, è il tentativo di rappresentazione del genere umano attraverso 39 quadri. 39 Piani sequenza a camera fissa, ma con una composizione dell’inquadratura eccezionale, raccontano le grottesche quanto assurde situazioni dei protagonisti. In particolare, quella di due venditori di giocattoli carnevaleschi, tempestati dalla sfortuna e che tutto hanno, tranne l’allegria che vorrebbero si diffondesse tra le persone. Proprio loro attraversano più luoghi, legando con un filo invisibile tutte le vicende.

Roy Andersson getta il suo sguardo sul genere umano da lontano in maniera ancora più estrema rispetto al secondo capitolo della trilogia You, the Living, dove un paio di variazioni sul tema c’erano. Qui invece, lo stile è ancora più asciutto e lascia i personaggi nei quadri di una ipotetica galleria d’arte che prende vita sullo schermo cinematografico.
Il regista svedese ci mostra figure incapaci di prendere in mano la propria vita, vittime di un’imperante depressione che aleggia per tutta la pellicola. Ma la bellezza di Un piccione seduto su un ramo, sta nel tono: come i capitoli precedenti, è impossibile non cedere alle risate. La distanza della macchina da presa, la povertà dei dialoghi, non per questo meno incisivi, i tempi lenti di ogni azione creano un generale clima leggero e una serie di tempi comici irresistibili. Scelta audace, considerando l’utilizzo di una fotografia dai colori itterici e la tripla rappresentazione dell’incontro con la morte che apre il film.

un_piccione_official740

La riflessione del piccione del titolo però si palesa concretamente quando nella rappresentazione dell’homo sapiens, Roy Andersson ci mostra di cosa è capace l’uomo nei confronti dei propri simili e nei confronti degli altri esseri viventi.
Se il cinema americano grida alla metafora ogni volta che vuole mandare un messaggio, Andersson non esita a dire esattamente quello che vuole: così quando non assistiamo alle peggiori crudeltà che si compiono nella completa indifferenza dei personaggi di quel quadro, uno dei venditori di giocattoli carnevaleschi, per esempio, si mette a urlare in un corridoio chiedendosi se è giusto che alcune persone ne utilizzino altre per raggiungere i propri scopi.

Il tentativo di Andersson, quindi riesce anche questa volta, ma solo se ci si abbandona ad uno stile di cinema così essenziale, folle quanto geniale.

★★★★

Condividi:

Pubblicato da Giuseppe T. Chiaramonte

Nato a Catanzaro nel 1988, vive nella provincia di Milano da sempre. Appassionato di cinema fin da piccolo capisce che vuole farne la sua vita quando vede La compagnia dell'anello. Nonostante l'imprinting col genere blockbuster, che rimane nel cuore, la conoscenza del cinema d'autore arriva qualche anno dopo grazie agli studi e ora tra i suoi registi preferiti si contano nomi come Billy Wilder, Orson Welles, Alfred Hitchcock, Martin Scorsese, David Fincher e Christopher Nolan. Ma siccome nella vita è un montatore video, la vera fonte di ispirazione arriva dalla leggendaria Thelma Shoonmaker, dal maestro Walter Murch e Kirk Baxter.