Aquaman, il blockbuster marino pompato e erculeo della DC

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È il re dei mari e, ad oggi, il re dell’universo DC. È il regno marino che conquista l’attenzione della superficie e rende lo spettacolo dei blockbuster americani un’esperienza da vivere trattenendo il fiato per immergersi negli abissi inesplorati dei mari. È Aquaman, nuovo titolo stand alone della casa dei fumetti dopo lo show di superpoteri del precedente Justice League, che si distacca dalla pesantezza dei suoi colleghi per abbracciare la sua vera natura, quella per cui dovrebbe esistere primariamente: l’intrattenimento.

Si vocifera che sulla Terra si aggiri un atlantideo. Un uomo che vive sopra il mare, ma agisce imbattibile sott’acqua. Il suo nome è Arthur Curry (Jason Momoa), ma si fa chiamare Aquaman. Questo mastodontico uomo, questa rarità degli abissi, dovrebbe essere il legittimo re di Atlantide ed è bene che si affretti ad occupare il posto che gli spetta prima che il fratellastro re Orm (Patrick Wilson) scateni una guerra tra terra e mare. Minacce e sfide da dover affrontare, dall’odio del pirata Black Manta (Yahya Abdul-Mateen II) al ricordo della madre scomparsa Atlanna (Nicole Kidman).

Aquaman è un film d’avventura. Un blockbuster e un film d’avventura. La DC fa salire a bordo James Wan e rende il divertimento l’unico fine perseguibile del supereroe squamato, che abbracci completamente la maestosità dei sette mari e ne incarni la temerarietà e la grandezza ad ogni sua onda. Non ha paura, a differenza dei suoi predecessori, di non prendersi sul serio. Ed è proprio questo che lo rende – al pari e forse un filo sopra a Wonder Woman – il migliore film che l’azienda fumettistica abbia realizzato fino ad ora.

La scelta del regista è paradigmatica. Affidare a Wan la direzione di Aquaman significa puntare dal principio sul valore dell’industria cinematografica e sulla volontà di animare la pesantezza che aveva reso dei macigni le precedenti operazioni di adattamento della DC. E il regista, infatti, svolge egregiamente il proprio lavoro, nei termini di azione, coinvolgimento e effetti speciali. Aquaman è ingente, immane. È colossale. È quanto di più inclusivo visivamente potesse esserci all’inizio di questo 2019 cinematografico. È l’assoluta presa di coscienza del voler divertire e trattenere l’attenzione del pubblico, non scadendo nella retorica dei suoi precedenti filmici pur credendo in ogni cerchio di fuoco o leggenda marina che si prospettati all’orizzonte.

James Wan e il montaggio di Kirk M. Morri rendono fluido lo svolgersi del film, un mare in tempesta di idee che puntano alla grandiosità del blockbuster e, nel riempire le inquadrature, le fanno straboccare fin quasi fuori dallo schermo. Con combattimenti che muovono le correnti e non risparmiano alcun abitante sotto il livello dell’acqua. Una gigantesco contenitore acquatico direttamente proporzionale alla tamarraggine intrinseca del suo protagonista.

Peculiare è, infatti, il procedimento svolto per la formazione del personaggio principale. Annullando la percezione del fumetto, Aquaman si plasma sulla figura unica di Jason Momoa. Un’operazione che rifiuta l’aderenza del protagonista con il corrispettivo nel fumetto, ma assume i connotati, le caratteristiche e le abilità – di presenza fisica e scenica – dell’attore. Jason Momoa è Aquaman e Aquaman è Jason Momoa. Il confine che li separa è labile e rende il film un lavoro di costruzione più intorno all’interprete che al suo personaggio.

Da qui l’attribuirsi di tante delle scelte accordate per la versione action di Aquaman e, insieme, la riuscita complessiva del film, che oltre a Momoa si avvale di un cast che sa bene nuotare in mare aperto, dalla madre Nicole Kidman al consigliere Willem Dafoe, con il cattivo di Patrick Wilson che, nel miscuglio di disperazione, manipolazione paterna e smania di dominio, si rivela un nemico all’altezza dell’eroe. Per affiancarci alla trivialità del film di James Wan, coatto è l’aggettivo con cui meglio definire il nuovo Aquaman, che racchiude lo spirito più pompato e erculeo mai visto nei cinecomics.

★★★

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