Joker, la nascita della follia

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Joker (id.)

Genere: Drammatico. Regia: Todd Phillips. Cast: Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz, Frances Conroy, Brett Cullen, Shea Whigham. Durata: 122 min. Anno: 2019.

“Per tutta la vita non ho mai saputo se esistevo veramente, ma esisto.
E le persone iniziano a notarlo.”

Arthur Fleck, un comico fallito, ha un grave disturbo mentale che peggiora drasticamente quando viene contemporaneamente licenziato e abbandonato dai servizi sociali.

Penso che Joker sia un film crudo, realista e molto, molto triste. Qualcuno ha scritto che non vi è redenzione alla fine, non c’è speranza. Ma non sempre nella vita reale c’è il lieto fine. Non tutti riescono a prendere in mano la propria vita, non tutti hanno la forza di superare le avversità, soprattutto perché in questo caso stiamo parlando di un individuo con un grave disturbo mentale che non riceve il giusto sostegno psicologico. Come mostra bene il film, questa società ci schiaccia, ci omologa, ci rende schiavi del sistema e se non ne fai parte, volutamente o meno, ti mette da parte. Il protagonista lo dice apertamente, si sente invisibile e non compreso. I ricchi denigrano i poveri, colui che vorrebbe candidarsi come sindaco, Thomas Wayne, definisce pagliacci coloro che non sono in grado di affermarsi e i poveri non riescono più ad avere fiducia in coloro che detengono il potere e fanno promesse vuote di un futuro migliore.

Fa paura vedere come un singolo evento può avere una risonanza tale da essere preso come simbolo e spunto per scatenare gli istinti peggiori della comunità. Io credo che il film non voglia certo far passare il messaggio che mettere a ferro e fuoco le città sia la giusta soluzione o proporre Joker come un modello da imitare, ma ci mostra come ciò potrebbe purtroppo accadere con estrema facilità. Non si può ignorare la violenza, non la si può nascondere, non possiamo far finta che non esista, possiamo solo sperare che mostrarla con brutalità possa sollevare un briciolo di riflessione negli spettatori.

Sull’innegabile talento di Joaquin Phoenix non ci sono dubbi, ma con questa straordinaria interpretazione è andato oltre. Ci fa sprofondare lentamente, insieme al suo personaggio, nell’inesorabile declino della follia non più tenuta a bada. Non si riesce a simpatizzare con un uomo del genere, però non si può nemmeno rimanere indifferenti al suo grido di dolore. Nessuno lo ha mai voluto, fin dalla nascita. Completamente deluso dalla vita, fino alla goccia che fa traboccare il vaso: scoprire che anche colei che credeva l’unico punto fermo della sua vita, sua madre, gli ha in realtà mentito. Phoenix ha fatto un gran lavoro perché ha piegato anche il proprio corpo per renderlo lo strumento attraverso il quale enfatizzare l’interpretazione. E non si tratta solo di un mero dimagrimento fine a se stesso, ma proprio nella ricerca di un certo tipo di movimento, di alcuni gesti ripetuti, nelle ridicole movenze di una danza goffa e impacciata.

Questo film potrebbe anche non parlare di Joker, l’antagonista di Batman, infatti ci sono indubbie suggestioni da altri film, tra i primi che vengono in mente Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese e Quinto Potere (Network, 1976) di Sidney Lumet. Trovo comunque che i riferimenti alla storia di Bruce Wayne siano stati inseriti in modo credibile e senza alcuna forzatura. Non ho gradito invece la decisione di mostrare le allucinazioni di Arthur con la sua vicina di casa, un’eccesiva spiegazione troppo didascalica che rovina il tono del film, visto che era appena stato ampiamente intuibile. Al contrario, ho molto apprezzato il crescendo della sequenza della “trasformazione definitiva” di Arthur in Joker, a partire dalla scena in cui si trucca, passando per il ballo liberatorio sulla scalinata, fino alla sua entrata in scena allo spettacolo televisivo tanto agognato e dove si svolgerà il prevedibile (per noi) coup de théâtre. Ovviamente anche grazie all’incredibile talento di Phoenix, mai sopra le righe nemmeno nei momenti più eccessivi.

Dal punto di vista tecnico, ottime la scenografia e la fotografia, e le musiche, a tratti strazianti, della compositrice islandese Hildur Guðnadóttir, miscelate insieme ad un’ottima scelta delle canzoni, due su tutte White Room dei Cream e Rock & Roll Part II di Gary Glitter.

★★★★

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Pubblicato da Virgilia Bertolotto

Nasce a Torino nel 1987. Appassionata da sempre di cinema e, in particolare, di cinema d’animazione, nel 2011 consegue la laurea magistrale in "Discipline cinematografiche - Storia, teoria e patrimonio." Nel luglio 2014 Vincenzo Grasso Editore pubblica il suo saggio "Dal pixel alla Pixar". Nel tempo libero gestisce tre pagine (Mads Mikkelsen Italia, William Holden Tribute e Jack Huston Italia) e un piccolo blog (The Happiest Small Things) su Facebook. Gli altri suoi interessi sono la lettura, la fotografia e l’arte.