J’ai tué ma mère – Il primo film dell’allora diciannovenne Dolan

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Genere: Drammatico Regia: Xavier Dolan Cast: Xavier Dolan, Anne Dorval, çois Arnaud, Suzanne Clément, Patricia Tulasne Durata: 96 min Anno: 2009

J_ai_tue_ma_mereHubert ha sedici anni e odia sua madre. Ogni sua movenza, ogni suo dettaglio, persino il suo modo di parlare lo irrita e lo disgusta. Senza dimenticare i suoi ricatti, i sotterfugi e le manipolazioni che acuiscono nel giovane sensi di colpa, frustrazione e rabbia. Hubert è cresciuto senza il padre, che lo ha abbandonato all’età di sette anni, è omosessuale e ha una relazione da tre mesi con un suo compagno di classe. Hubert ama l’arte e la poesia e si sente profondamente incompreso. L’unica valvola di sfogo sembra essere l’amicizia che lo lega ad una sua insegnante, la sola in grado di supportarlo e comprenderlo.

J’ai tué ma merè, primo lungometraggio diretto dall’allora diciannovenne Xavier Dolan (qui il nostro incontro col regista) (che qui interpreta anche l’attore protagonista Hubert), è basato su una sua sceneggiatura scritta all’età di sedici anni. Il film fu selezionato nel 2009 per la Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes, dove vinse tre premi: Premio Art Cinéma, Premio SACD e Premio Regards Jeunes. Al centro della vicenda c’è l’adolescenza problematica di un ragazzo che non riesce a trovare un posto nel mondo e che prova sentimenti contrastanti di amore/odio verso la propria madre. Da piccolo era legatissimo a lei, ma ora invece, “troverebbe almeno 100 persone che ama più di sua madre”. Uno che intitola il proprio debutto alla regia “Ho ucciso mia madre” ha senza dubbio fegato da vendere, anche perché lo stesso Dolan ha ammesso che si tratta di una storia con molti elementi autobiografici. Tra rimandi al mito di Edipo (in una scena si vede il tormentato protagonista inseguire tra i prati la sposa/madre) e continue liti per qualsiasi futile motivo, J’ai tué ma mère porta alla luce due personalità nevrotiche, che urlano, hanno crisi isteriche, si punzecchiano in continuazione, ma, in fondo, a modo loro, si vogliono bene. Dolan dirige gli interpreti con grande sensibilità e una saggezza fuori dal comune, data la giovane età, dosando movimenti e sguardi, primi piani intensi e campi larghi disorientanti. L’abbandono frequente all’estetica del videoclip (che omaggia i ralenti marchio di fabbrica del regista cinese Wong Kar-wai), i monologhi in bianco e nero in camera e alcuni inserti molto irriverenti contribuiscono alla riuscita di un’opera che lascia intravedere tutte le potenzialità e delinea i temi chiave che il regista affronterà nel proseguo della sua carriera, come l’omosessualità, i difficoltosi rapporti con i genitori, gli amori tormentati, l’adolescenza rabbiosa, il valore dell’amicizia e l’alienazione. Il ritratto di famiglia disfunzionale che ne esce fuori è sincero e credibile. J’ai tué ma merè ha un’anima e un cuore, elementi indispensabili per parlare di cinema con la C maiuscola.

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Xavier Dolan, l’Enfant Prodige del cinema canadese, è il nome da tenere d’occhio per il futuro, uno dei cineasti più interessanti e talentuosi dell’attuale panorama cinematografico e, già a diciannove anni, lo si poteva intuire bene.
Dopo essersi consacrato definitivamente con Mommy, aggiudicandosi il Premio della Giuria ex aequo con Adieu au Langage di Jean-Luc Godard allo scorso Festival di Cannes, la sensazione è solo una: questo ragazzo ne farà ancora di strada, e tanta.

★★★½

 

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