Death Note, la recensione del film Netflix

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Death Note Genere: Thriller, Fantastico Regia: Adam Wingard Cast: Nat Wolff, Margaret Qualley, Lakeith Stanfield, Paul Nakauchi, Shea Whigham, Michael Shamus Wiles, Matthew Kevin Anderson, Masi Oka, Jason Liles Durata: 100 min. Anno: 2017

Quest’anno uno dei prodotti Netflix più attesi e discussi è Death Note – Il quaderno della morte di Adam Wingard, adattamento in live action sotto forma di lungometraggio del celebre manga di Takeshi Obata e Tsugumi Ohba, serializzato dal 2004 al 2006 in Giappone.

Le vicende della pellicola ruotano intorno a Light Turner (Nat Wolff), studente liceale di Seattle che trova un quaderno dotato di poteri soprannaturali: il Death Note. Tale strumento, lasciato sulla Terra dal dio della morte Ryuk (Willem Dafoe), permette di uccidere una qualunque persona scrivendo il suo nome e visualizzandone il volto. Il protagonista, insieme a Mia Sutton (Margaret Qualley), comincia a utilizzare il Death Note per uccidere i criminali così da estirpare il male dal mondo; ogni crimine porta la firma del dio Kira, appellativo che corrisponde alla traslitterazione della parola “Killer” in giapponese. Le numerose morti improvvise attirano l’attenzione della polizia, e il caso viene assegnato al detective James Turner (Shea Wigham), padre del protagonista. Quest’ultimo viene contattato da Elle (Lakeith Stanfield), brillante investigatore privato disposto a collaborare per assicurare alla giustizia i responsabili degli efferati omicidi.

Fin dalle primissime scene Death Note – Il quaderno della morte si discosta con decisione dall’opera originale, specie per quanto riguarda i personaggi. Anzitutto a differenza di Light Yagami, sua controparte nel manga e anime, Light Turner non è affatto un genio carismatico capace di manipolare senza troppe difficoltà le persone con cui ha a che fare. Al contrario, è un ragazzo introverso, impacciato nel rapportarsi con il gentil sesso e vittima dei bulli. Il ragazzo non è in grado di mantenere il sangue freddo di fronte a situazioni impreviste, infatti quando incontra per la prima volta il dio della morte Ryuk ne resta terrorizzato a tal punto da gridare a squarciagola e correre come un forsennato per l’aula, ribaltando scaffali nella foga del momento. Trattasi, tra l’altro, di una sequenza esilarante, seppur in maniera involontaria. Ma ciò che stupisce di più di Light è la facilità con cui rivela alla cheerleader Mia, per far colpo su di lei, di possedere il Death Note.

Anche Mia Sutton contrasta con il suo corrispettivo Misa Amane, svolgendo un ruolo più attivo nella storia piuttosto che essere un semplice strumento nelle mani del custode del quaderno della morte. Anzi, la ragazza si rivela più spregiudicata di Light, il quale tende a farsi scrupoli di ordine morale. Ad ogni modo, la caratterizzazione dei due protagonisti, pur se carente, risulta perlomeno in linea con la loro età: essi sono adolescenti, e in quanto tali impulsivi, ingenui e presuntuosi. Un punto a favore della pellicola, quindi.

Il personaggio di Elle è, invece, ridicolo: l’avventatezza con cui affronta Kira fa più volte dubitare della sua tanto decantata intelligenza. Per non parlare delle sue doti atletiche a dispetto della vita sedentaria, della carenza di sonno e dell’abuso di dolci. Di contro, Ryuk convince appieno. Il dio della morte, doppiato dal geniale Willem Dafoe, è più terrificante che nell’opera giapponese e non si riduce ad animale domestico o clown. Dopo aver istigato Light a servirsi del quaderno, l’entità superiore si astiene dal dare qualunque tipo di supporto agli esseri umani, limitandosi ad osservare divertita le loro vicende. La sua risata fa salire i brividi lungo la schiena.

Manca un vero e proprio scontro intellettuale tra il dio Kira e l’investigatore Elle, che dovrebbe invece costituire il fulcro della storia al fine di tenere alto l’interesse dello spettatore. Vi sono, inoltre, minime tracce del dibattito etico sull’operato di Kira e sull’idea di giustizia, dibattito peraltro non attualizzato alla luce di tematiche come la criminalità organizzata e il terrorismo. Ma ad inficiare il valore del film sono soprattutto le incongruenze e i buchi di trama; le regole del quaderno, in particolare, sono talvolta spiegate male o lasciate implicite rendendo difficile la comprensione di ciò che accade a chi non conosca l’opera di base. Al regista Adam Wingard va comunque riconosciuto il merito di aver reso il film scorrevole e mai noioso, benché i richiami al cinema di Nicholas Winding Refn siano piuttosto palesi e dozzinali.

In conclusione, Death Note – Il quaderno della morte è un adattamento mediocre e raffazzonato, soprattutto sotto il profilo della sceneggiatura. Sarà anche gradevole per certi aspetti, ma ciò non basterà a salvarlo dal dimenticatoio.

★★

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Pubblicato da Valentino Zona

Nato a Napoli nel 1990, Valentino Zona è un appassionato di cinema, letteratura e fumetti. Ama il patrimonio culturale partenopeo, di cui auspica la corretta valorizzazione.